Alla scoperta di Monte Torre Maggiore

Alla scoperta di Monte Torre Maggiore

Profumi, colori e suoni della primavera

Lo scrittore francese Marcel Proust, scrive che “la vera avventura  non consiste nello scoprire nuove terre, ma nell’ avere occhi diversi” ed è proprio per questo che sto tralasciando  per un po’ monti maestosi come  i Sibillini o il Monte Terminillo orientando la mia curiosità verso le montagne  del comprensorio ternano, quelle familiari, che sono davanti ai miei occhi ogni giorno; durante il  periodo in cui abitavo lontana da Terni, e questa l’immagine ricorrente  della mia città: lo sperone roccioso del  Monte Eolo .


La passeggiata di qualche settimana  fa mi ha portato  al Monte La Croce e oggi la scelta è caduta su Monte Torre Maggiore. Conoscevo già  il Monte Eolo, alle cui pendici è nato  il paese di  Cesi, con un ampia pianura ospita la chiesa di Sant’ Erasmo  e i resti di un antico tempio pagano. La giornata è  splendida, il cielo è  appena velato da cirri lontani, soffia un  piacevole venticello che scompiglia delicatamente i capelli  e i raggi gentili del sole ci accompagnano piacevolmente.


 Lasciata l’auto,  ci siamo spinti sul pianoro dove sorge la chiesa e poi più il là dove rimangono antichi resti di un tempio pagano, eretto cinque secoli prima della nascita di Cristo da una popolazione umbro-sabina, mentre la chiesa in stile  romanico fu edificata dai monaci benedettini forse per  cristianizzare un luogo dedicato a divinità pagane.

Affacciandosi dal  pianoro e volgendo lo sguardo  a Nord-Ovest appare il paese di Sangemini, arroccato su di un colle, e il resto dei Monti Martani,  mentre verso Sud-Est, la città di Terni o la Conca, come la chiamano i ternani, perché circondata dalle montagne; la città  ancora non appare lontana e si riescono a distinguere gli elementi che la compongono.
E’ presto e il luogo è quasi deserto.















Invece di seguire la carrareccia bianca, percorribile anche con l’auto decidiamo di entrare nel bosco; contrariamente al solito, questa volta non abbiamo una cartina, quindi ci  lasciamo guidare dai segni bianchi  e rossi lasciati dal CAI per indicare i sentieri.



Nel bosco, incontriamo la tipica vegetazione composta da Lecci, Olmi e Aceri d’Ungheria, con le forme delle  foglie già riconoscibili e le samare che custodiscono i preziosi semi, appena formate;  il tronco e i rami rivestiti dai licheni, senza parlare, ma solo con la loro presenza  ci suggeriscono di respirare a pieni polmoni un’aria sicuramente più pulita di quella della città da cui proveniamo.


Sul sentiero, le foglie cadute dell’autunno precedente, non ancora decomposte, sono soffici sotto i nostri piedi, mentre oltrepassiamo rami e tronchi caduti, che lentamente si decompongono restituendo alla terra il nutrimento che generosamente, nel tempo hanno ricevuto. Sotto agli alberi spunta la  vegetazione  del sottobosco: i ciclamini,  riscaldati dai raggi di sole che penetrano nella boscaglia, rilasciano il loro profumo, gli anemoni, la robbia dei tintori con le piccole bacche nere tonde come perle, le felci e le  piante di fragole, ancora senza  frutti.




Usciti dal bosco, si apre davanti a noi  una radura  con un sentiero ben visibile pronto per essere percorso.


Ci fermiamo: la città appare più lontana, i rumori e la frenesia che la caratterizzano anche. 
Fuori dall’ arena, appare ridimensionato ogni problema, ogni ansia, ogni livore, ogni preoccupazione e una profonda calma si impadronisce della mente, il respiro è rilassato e gli occhi bevono tutta la bellezza della natura. Sul pianoro, come ovunque intorno a noi, la Primavera, con i suoi colori e la sua vitalità ci avvolge. C’è di tutto. Spostando lo sguardo a 360°sono ben visibili i Lecci che durante l’inverno non hanno perso le loro foglie e mantengono la chioma di un verde deciso, gli Aceri, gli Olmi, che si sono appena rivestiti di un verde tenero e brillante, i Biancospini che offrono il loro nettare agli insetti e se ti avvicini un po’ riesci a sentire il loro frenetico ronzio: se li guardi tutti insieme, da lontano sembrano tanti morbidi e colorati  cuscini su cui appoggiarsi.



Il prato non è da meno! L’erba tenera, appena nata è un soffice tappeto verde, sassi e frammenti di roccia calcarea sono adagiati sopra, ovunque; la pimpinella  calpestata dai nostri piedi lascia andare un gradevole aroma; fiori piccoli e grandi: centauri eleganti dai cinque petali rosa, ranuncoli gialli, margherite bianche, arbusti di rovi e ginepro si offrono ai nostri sguardi.

Unici rumori, oltre a quelli dei nostri passi e dei respiri, il canto degli uccelli, il ronzio degli insetti che lavorano instancabilmente e il soffio delicato e continuo del vento che fa danzare  le foglie degli alberi al suo passaggio.


Qui ognuno ha il suo posto: l’albero maestoso e il timido fiore,  l’uccello e l’insetto. Ognuno è necessario e utile e tutti insieme compongono un armonico puzzle. L’albero che mantiene la sua chioma tutto l’anno non guarda in modo sprezzante quello che ad ogni autunno perde le sue foglie per riconquistarle solo a primavera. Il cespuglio di ginepro che è lì da molto tempo non deride la margherita che ad ogni primavera torna a fiorire, per poi rintanarsi  con l’arrivo del freddo. Ognuno sa cosa deve fare.  Quando i primi raggi di sole cominciano a riscaldare la terra, coraggiosamente le piante stagionali fanno capolino, uguali a quelle dell’anno precedente ma diverse ogni volta.
Sanno da soli cosa
fare; ubbidiscono a leggi immutabili, senza che nessuno pianti un seme nella terra, senza che nessuno si affretti ad innaffiare, senza il controllo continuo dell’essere umano che tutto vuole pianificare.

Improvvisamente, come un flash mi arrivano alla mente, le immagini che in questi giorni rimbalzano nei notiziari, di distruzione e di morte in terre martoriate dall’avidità e dalla violenza: come è possibile che sullo stesso pianeta, che sa mostrare tanto equilibrio, armonia e pace possano convivere situazioni totalmente diverse, in cui c’è il bello e la meraviglia,  ma anche il suo contrario?
La natura, se osservata e  ascoltata, ogni giorno è un’insegnante muto ma efficace.

Avanziamo di qualche metro, fino ad arrivare ai piedi di monte Torre Maggiore; abbiamo tre possibilità: salire ancora nel bosco davanti a noi, scendere a sinistra o a destra: Il percorso di destra è segnalato, quindi decidiamo di percorrerlo.


E’ un percorso misto,  a volte ampio e a volte stretto, a volte sale e a volte scende, con una pavimentazione di foglie o sassosa,  che si snoda un po’ tra il bosco e un po’ fra bassi arbusti; andiamo avanti,  però  ci accorgiamo che seppur segnalato, ci sta portando lontano dalla meta. Arriviamo fino ad un ampio pianoro con un abbeveratoio per animali: ce n’erano alcuni, che non vediamo ma di cui sentiamo il rumore degli zoccoli, mentre scappano, sicuramente disturbati dalla nostra presenza. Approfittiamo per riposarci e per fare un piccolo spuntino.
Valutiamo se salire per la cresta della montagna o tornare da dove siamo venuti e poi decidiamo, che non conoscendo il percorso e neanche gli imprevisti che potremmo incontrare, sia meglio tornare indietro al crocevia e provare a salire dal bosco.
Ma ogni scelta implica degli imprevisti o degli incontri! Durante le passeggiate in montagna abbiamo fatto vari incontri: un po’ ovunque mucche, cavalli e pecore che se non disturbati si  sono mostrati pacifici; sul Monte la Pelosa, poco prima di arrivare alla meta, una mandria di bufali, che con sguardo minaccioso e attento ci ha fissato finché non siamo passati oltre; sul Monte Cucco, mamma cinghiala che volendo proteggere i suoi cuccioli grugnisce per avvisare della sua presenza e metterci in guardia; sui Sibillini e il Gran Sasso la piccola  e timida Vipera Ursinii e infine a Passo Cattivo uno sciame di farfalle bianche, per nulla intimorito svolazzava intorno a noi.
Ogni volta che calzo gli scarponcini da 
trekking, soprattutto in primavera e estate ho un unico timore  che oggi è diventato concreto.
Percorriamo lo stretto e battuto sentiero. Luca è davanti a me e improvvisamente, senza dire una parola si ferma: io sono alle sue spalle e  ho immediatamente capito.

Era davanti a noi stesa al sole, perpendicolare al sentiero, lunga circa cinquanta centimetri,  con la testa e parte del corpo visibile, mentre la coda si nascondeva fra i cespugli, di colore grigio con macchie nere: è  la Vipera Aspis.

La testa rivolta verso di noi, l’occhio attento per capire le nostre intenzioni:  i nostri occhi quasi ipnotizzati erano fissi sui suoi, attenti anche noi al più piccolo movimento. Chissà cosa ha provato? Si è sentita disturbata? Impaurita? Interessata? Noi eravamo paralizzati: sappiamo di poterla incontrare ogni volta, anche se fortunatamente non è mai successo. Fino ad ora.  Rimaniamo in attesa. Lentamente rientra fra i cespugli e scompare.
Ricominciamo a respirare normalmente e riprendiamo il sentiero, percorrendo il chilometro e mezzo che abbiamo davanti  come se avessimo le ali ai piedi! Non c’è né il tempo, né l’interesse a scattare foto, a fermarsi ad osservare qualche fiore o a raccogliere qualche asparago: l’unica urgenza è uscire da lì il più in

fretta possibile.
Arriviamo al crocevia con il fiato corto e una sgradevole sensazione addosso: però anche lei fa parte dell’ambiente ed è ... a casa sua, mentre noi siamo visitatori di un giorno e concentrarsi su questo aiuta un po’ a ritrovare la pace mentale.
Vogliamo arrivare a Torre Maggiore, ma il timore, vista l’ora e la temperatura di fare altri sgraditi incontri ci sconsiglia   di passare ancora  per il bosco per cui decidiamo di percorrere la carrareccia bianca a sinistra.




La strada è ampia e comoda, per la maggior parte assolata e panoramica nel lato sinistro; scattiamo qualche foto. Sulla parte esterna di una curva, un altro rettile: forse un’altra vipera, ma morta. Ha il collo spezzato, e gli umori tutto intorno al corpo inumidiscono un po’ la polvere bianca della strada: probabilmente è stata uccisa intenzionalmente.
Ci avviciniamo, la fotografo con una curiosità un po’ vile e morbosa, come quando possiamo osservare  qualcosa che nel pieno della sua forza terrorizza, ma così inerme è sotto controllo  e non può più nuocere. E’ Primavera, il caldo in anticipo le ha svegliate e  spinte  a lasciare le loro tane.


Con lo sguardo incollato alla strada proseguiamo fino ad entrare in un piccolo tratto di bosco, meraviglioso, di cui le foto non riescono a restituire l’incanto: gli alberi frondosi si uniscono, sopra le nostre teste a formare un arco naturale e lungo i margini della carrareccia fioriscono cespugli di ranuncoli gialli e anemoni bianchi e lilla. Che  sensazione di pace!


Siamo quasi alla meta: oltrepassiamo alla nostra destra il monumento dedicato a un  partigiano  per arrivare fino a un belvedere, su cui si apre l’ultima  frangia dei Monti Martani, con gli stessi colori in cui siamo immersi noi, ma che il lontananza appaiono di un colore azzurrino.
Il vento si fa un po’ più insistente, mentre torniamo indietro per raggiungere il monumento al partigiano, posto dall’amministrazione comunale di Terni  per ricordare coloro,  come Germinal Cimarelli, che in  quei monti, hanno combattuto, inseguendo il sogno di liberare l’Italia dal dominio nazifascista, senza riuscire a provare la gioia di vedere la liberazione, avvenuta qualche tempo dopo. Oggi, quella parte di storia, che la maggioranza di noi conosce soltanto grazie  al racconto di altri sembra molto  lontana



L’ultimo tratto, in parte boscoso e in parte scoperto è molto ripido; è inoltre  reso faticoso dalle folate continue del Libeccio, umido e freddo, che soffia a circa cinquanta chilometri orari. Arrivati, finalmente alla cima del monte, davanti a noi, troviamo i resti di un tempio pagano dell’epoca preromana, realizzato con massi di roccia calcarea, abbondante in questa zona.



Dalla cima del monte il  colpo d’occhio su Terni, sui Monti Martani, sui Monti della Valnerina, sulla Valserra, sul gruppo del Terminillo  è meraviglioso!


Lo sforzo è stato ampiamente ricompensato e mi tornano  alla mente le parole di Proust con cui ho cominciato questo breve scritto che “la vera avventura  non consiste nello scoprire nuove terre, ma nell’avere occhi diversi”: oggi ho conosciuto un luogo che ho avuto da sempre davanti agli occhi, ma verso il quale non mi ero mai spinta.

















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