Il ciliegio

IL CILIEGIO

racconto di Roberta Braghelli

Il Ciliegio di Emilio Sommariva

C’era e c’è ancora un albero di ciliegio silenzioso, triste e un po’ stanco della sua solitudine che sorveglia attento, dallo spuntare del giorno fino all’arrivo delle prime luci della notte, la casa dalle pareti bianche che ha di fronte, una casa ormai chiusa da tempo.
 Il ciliegio ricorda con malinconia che quando era giovane lo spazio a lui intorno brulicava di vita, di una vita onesta e semplice, di suoni e di odori primitivi.
In quella grande casa che, se socchiudeva gli occhi poteva ancora ricordarla com’era, viveva una famiglia composta da quattro persone: un uomo e una donna sposati, una bambina diventata poi splendida donna che aveva preso il volo allontanandosi e costruendo la sua vita altrove e il fratello dell’uomo, che aveva bisogno di aiuto da quando era nato e che si portava appresso colpe non sue. 
L’uomo, ricorda il ciliegio, era fatto di una pasta speciale. 
Era forte come la roccia e il suo cuore era talmente grande che aveva deciso che nella sua casa ci sarebbe stato posto per tutti soprattutto per un fratello a cui la vita non aveva sorriso sin dagli inizi. 
Ogni anno, con l’arrivo della primavera, il ciliegio tornava a danzare sulle note della musica che a lui piaceva di più: si riempiva di fiori profumati poi di verdi foglie e tra i suoi rami trovavano rifugio gli uccelli della campagna a lui circostante. 
Il ritmo della vita proseguiva e il ciliegio caricava i suoi rami di dolcissimi frutti rossi.
L’uomo, che conosceva la natura meglio di sé stesso e che l’amava di un amore viscerale, amore che gli era stato tramandato e che gli scorreva nel sangue, si divertiva a stuzzicare quei rami per cogliere il momento esatto della maturazione dei frutti. 
Il ciliegio sorrideva perché conosceva bene quei movimenti. 
Il rituale si compiva con grazia ogni anno. 
Capito il momento, l’uomo si arrampicava con agilità tra le fronde portando con sé un vecchio secchio azzurro. 
La magia aveva inizio.
 Il ciliegio lasciava che l’uomo l’accarezzasse e se anche a volte era un po’ rude lo lasciava fare sornione. 
 Sapeva cosa l’uomo cercasse. 
L’uomo desiderava arrivare più in alto per cogliere le ciliegie più buone per le sue due amate nipoti. 
Per l’uomo la domenica era una festa. 
Attendeva con ansia l’arrivo delle bambine diventate negli anni le donne che lui ammirava. 
E nonostante il tempo inclemente segnasse sul corpo dell’uomo le cicatrici degli anni che si aggiungevano alle sofferenze patite in gioventù, nonostante il terribile incidente avvenuto in campagna che gli aveva portato via l’uso di una mano, le ciliegie continuavano ogni anno ad essere colte come se nulla fosse cambiato. 
La luce che il ciliegio vedeva illuminare gli occhi dell’uomo quando gli si avvicinava gli raccontava di una fierezza composta, di orgoglio e tenacia che alimentavano insieme, non solo lo spirito ma anche il corpo non più giovane. 
Al ciliegio manca infinitamente quell’uomo. 
Ogni tanto di notte gli sembra di vederlo comparire dal buio un pò dispiaciuto perché non c’è più nessuno in paese che colga le sue rosse ciliegie. 
A quell’uomo vorrei svelare un segreto: a me le ciliegie non sono mai piaciute ma per lui io le mangiavo contenta perché erano dolcissime, non solo di zucchero ma soprattutto dell’amore che avevano dentro.
E se a quasi quarant’anni dovessi dare un’immagine all’Amore puro e autentico io nella mia mente ne sceglierei una per tutte:
quell’uomo che non si è mai piegato alle fatiche e al tempo che ogni anno si arrampica con testarda tenacia, aiutato da una mano sola, accompagnato dall’immancabile secchiello azzurro, proteso tra i rami, alla ricerca delle ciliegie più buone per le sue due amate nipoti.
Quell’uomo non manca infinitamente solo al ciliegio,
quell’uomo e il suo grande amore mancano tanto anche a me.

Roberta

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