Santuario di San Giuseppe da Leonessa
SANTUARIO DI
SAN GIUSEPPE DA LEONESSA
Colle la Croce o Colle Collato (1626 m s.l.m.)
Vista la temperatura bollente di questa giornata aneliamo ad un pò di fresco.
La scelta è se salire a Monte La Pelosa oppure al Santuario di San Giuseppe, che avevamo visto durante la passeggiata al Monte Tilia.
La Pelosa la conosciamo essendo stata meta di numerose passeggiate nelle diverse stagioni.
Optiamo per qualcosa che non abbiamo mai viso: il Santuario.
I percorsi possibili sono due; una carrareccia percorribile anche con fuoristrada oppure un sentiero impervio che zigzaga nel bosco, ma più breve. I due sentieri a volte si allontanano e a tratti si riprendono.
Saliamo per il sentiero ripido, lo stesso che San Giuseppe ha percorso con una pesante croce di legno sulle spalle, piantata poi sulla cima del monte, tra il 1608 e 1609.
Leonessa, dalla terza edicola |
Il primo tratto è largo e ciottoloso per poi trasformarsi in uno stretto sentiero ricoperto da foglie secche e rami, sbattuti per terra da colpi di vento particolarmente maligni.
Trasmettono l'impressione di un disordine generale, di cose che non servono più e abbandonate a loro stesse.
In realtà sono per il bosco rifiuti preziosissimi, che si smembreranno in tante piccole parti, grazie all'intervento di microorganismi operosi e indaffarati, e andranno a nutrire l'albero da cui sono caduti oppure un filo d'erba, un fiore o magari faranno la loro parte per far spuntare un profumato fungo.
Dalla natura l' insegnamento che quello che risulta un rifiuto per una specie è in realtà vita e sostentamento per altre.
Tra l'altro, per la natura il concetto di rifiuto come lo conosciamo noi non esiste.
Nulla è rifiuto, ma tutto viene messo a disposizione, in un modello di economia circolare, e non lineare, come quella poco sostenibile, praticata negli ultimi centocinquant'anni dall'Homo Sapiens Sapiens.
Fortunatamente, l'Homo Sapiens Sapiens, sta cominciando a comprendere, che quella dell'economia ciclica è l'unica strada percorribile per diminuire il proprio impatto ambientale sul pianeta.
Certo tra il capire e il fare ...
Nel bosco |
La salita è costante e graduale.
Alcuni tratti hanno un'elevata pendenza, altri, pochi per la verità, sono più dolci o pianeggianti. Quasi tutto il percorso si inerpica nel bosco ombroso; alcuni punti sono assolati e panoramici su Leonessa e il suo pianoro, la Rocca e il Monte Tilia che appare proprio di fronte a noi deserto, nonostante sia domenica.
Alcuni tratti hanno un'elevata pendenza, altri, pochi per la verità, sono più dolci o pianeggianti. Quasi tutto il percorso si inerpica nel bosco ombroso; alcuni punti sono assolati e panoramici su Leonessa e il suo pianoro, la Rocca e il Monte Tilia che appare proprio di fronte a noi deserto, nonostante sia domenica.
Di lato il viadotto, visibile solo in parte somiglia ad un enorme boomerang posto sopra a tanti pali dritti.
Sette edicole, lungo il percorso ricordano il sacrificio del santo.
Dalla terza sono visibili i tetti di Leonessa.
Dalla terza sono visibili i tetti di Leonessa.
Leggeri e rari refoli di vento danno momentaneo sollievo al gran caldo della giornata e alla fatica.
La consapevolezza degli effetti benefici dell' esercizio fisico sui glutei e sul giro vita non mi consola. Ma con i miei tempi e un passo dietro l'altro, continuo a salire.
Anche la vegetazione che popola il bosco racconta di una stagione di sofferenza. Sui rami degli alberi, disseminate quà e là, rinsecchite foglie color ruggine, sono il risultato delle tardive gelate della primavera scorsa.
Le foglie grandi e verdi, simili al palmo di una mano, di un Acero di Costantinopoli, pendono sgualcite e rattrappite per il caldo.
Gli aghi secchi di un abete, sui rami, si alternano a quelli verdi.
Faggi, querce, noccioli, pioppi bianchi e frassini sono esausti a causa del clima di questi mesi estivi.
Le bacche della berretta del prete sono di un rosa slavato e le foglie verdi, appaiono accartocciate su loro stesse.
Il sottobosco non se la passa meglio.
Alcune foglie verdi si sono arrese, lasciandosi cadere al suolo, mescolate a quelle secche, formando un morbido tappeto su cui camminare.
Steli d'erba, foglie di elleboro, ginestre hanno la testa piegata verso terra.
Striminziti e solitari ciclamini selvatici affiorano dalle foglie.
I crocus, con la testa riversa nella polvere, stanno probabilmente rimpiangendo di essere nati.
La verga d'oro vira dal suo colore giallo naturale, al marroncino.
Drupe di grugnali sono a terra.
Il muschio che ricopre i sassi è ispido al tatto e il colore generalmente verde brillante è virato in verde acido.
I licheni, la cui presenza oltre ad indicare il nord ci rassicura della buona qualità dell'aria del luogo in cui nascono, hanno perso la loro elasticità.
Il bosco, pur trovandosi sopra ai mille metri di quota, con una temperatura di trenta gradi a valle e ventiquattro a monte, non nasconde di essere esausto per il caldo e l'assenza di pioggia, esattamente come tutti noi.
Mi tornano in mente le immagini, trasmesse dal telegiornale di qualche giorno fa, dell'Artide, completamente navigabile, anche a Nord Est, a causa dello scioglimento del ghiaccio come conseguenza del riscaldamento del Pianeta.
La natura è continuamente vittima inerme delle scelte dell'animale più infido che esista sulla faccia della Terra: l'uomo.
Monte Tilia |
Dopo due ore e quarantacinque dalla partenza (soste comprese) e tremilanovecentodieci metri di percorso, ecco finalmente la vetta.
In alto rispetto alla settima edicola, appare il santuario, completamente esposto al sole.
La semplice costruzione in pietra viva sorge su un ampio piazzale sassoso e delimitato da una staccionata di legno.
Una croce in blocchi di cemento, istallata dove San Giuseppe aveva posto quella lignea, dà il benvenuto ai visitatori e protegge la facciata, così come quella in ferro protegge la parte posteriore.
Santuario e settima edicola |
Santuario e croce di cemento |
Facciata del Santuario |
Pianoro con Leonessa |
Il piazzale si affaccia sul panorama sottostante ed è molto simile a quello che si vede dal Monte Tilia, fatta eccezione per Terni e le sue montagne; da qui non si vedono.
Oggi il Gran Sasso è completamente visibile.
Un pò più in là il Monte Redentore.
Più in basso Monteleone di Spoleto, Leonessa con i suoi paesini distesi sul pianoro.
Altopiano con campi coltivati |
San Giuseppe, nato a Leonessa, al battesimo ricevette il nome di Eufranio, che significa portatore di gioia.
Molto giovane entrò nell'ordine dei Cappuccini e da subito iniziò a spendere la sua vita e le sue energie per predicare la parola di Dio e aiutare i poveri, e difenderli mettendosi contro i potenti e i ricchi.
Era molto amato dagli abitanti di Leonessa e alla sua morte, avvenuta il 4 febbraio 1612 fu sepolto nelle sua città natale.
Nel 1746 venne santificato e il 4 febbraio di ogni anno Leonessa lo festeggia come suo patrono
Veduta laterale del santuario |
Le sette edicole votive, che si incontrano lungo il sentiero sono state poste a ricordo del percorso fatto dal Santo e del miracolo che fece di far sgorgare l'acqua da un sasso.
Croce di cemento realizzata nel 1927 |
Croce di ferro realizzata nel 1971 |
Purtroppo non abbiamo potuto visitare il santuario all'interno, perché la porta era chiusa.
Altra meravigliosa descrizione di una giornata passata insieme al mio Grande Amore...sei sempre più brava!
RispondiEliminaGrazie grazie... per la passeggiata, ma soprattutto perché tifi sempre per me. Un abbraccio
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