Campo imperatore
CAMPO IMPERATORE
La distesa bianca riflette lo splendore del sole, dominus
incontrastato del cielo limpido e azzurro,
ma a tratti graffiato e ricamato da cirri simili a svolazzi di una firma
particolarmente importante.
Rispetto al giorno precedente, la tramontana ardita e
impertinente ha lasciato il posto ad una leggera bava di vento, consentendo
alla temperatura di riscaldarsi di una
decina di gradi.
Sullo sfondo la catena del Gran Sasso, con le sue montagne
aspre e impervie, ci guarda. Il Corno Grande nel fondovalle è coperto da una
nuvola e da lontano sembra un gigantesco cappello: la parte rocciosa è la
cupola e quella bianca come ovatta è la falda elegante.
Lasciamo la macchina
a Cretarola, in prossimità del Piano dell’Ospedale, chiamato dagli abitanti del
luogo Canyon; l’obiettivo è quello di arrivare fino a Racollo.
Il vallone si apre ampio come un anfiteatro, per poi
stringersi a collo di bottiglia molto più avanti.
Percorrendolo ascoltiamo il rumore del silenzio,
intervallato soltanto dal fruscio degli sci di Luca e dalle mie ciaspole che
rompono uno strato di neve ammollato dal calore del sole. Qualche cornacchia attraversa
in volo il cielo e si annuncia con il suo gracchiare. Ci precedono due
ciaspolatori. Per il resto davvero
nulla.
Il
paesaggio ammantato di neve è come una pagina bianca da leggere. Le
precipitazioni non sono state sufficienti a nascondere i costoni del vallone in
modo uniforme. Anzi nel lato destro, a nord sono esposte alla vista rocce,
vegetazione e terra. Mentre nel lato sinistro, a Sud una spolverata di neve
leggera lascia intravedere la superficie
sottostante, come un pandoro imbiancato
da zucchero a velo.
Nel fondovalle, a tratti la neve è abbondante, a tratti
quasi non riesce a coprire l’erba e le rocce che spuntano dal terreno.
Nei punti più esposti, il vento che soffia da est l'ha modellata disegnando onde ghiacciate.
Le narici si riempiono dell'odore dell'aria tersa e pulita, miraggio nella città da cui proveniamo.
Le narici si riempiono dell'odore dell'aria tersa e pulita, miraggio nella città da cui proveniamo.
Abbiamo l’illusione di essere gli unici attori in quel
palcoscenico, ma le tracce lasciate sul manto bianco raccontano di
un’abbondante traffico di animali selvatici. Molte orme, grandi e piccole si
incrociano indicando l’esistenza di una grande socialità sull’altopiano. Da una
caverna scavata nella roccia pendono stalattiti di ghiaccio, che essendo in
parte liquefatte danno vita a un ruscello
dove, a giudicare dalle impronte, un piccolo animale, si è dissetato.
Man mano che procediamo, le rocce calcareo-dolomitiche del
costone svettano perpendicolari al terreno. Sono piene di fenditure, spaccature
e caverne millenarie, probabili tane di chi vive in questo luogo. Nella parte
più alta di uno sperone roccioso ci osserva curioso un Camoscio Appenninico o Rupicapra Pyrenaica Ornata. Rimaniamo lì
diversi minuti e lo fotografiamo. Continua ad osservarci senza muoversi.
Due giorni prima percorrendo in auto la strada asfaltata che
conduce al Rifugio di Fonte Vetica, sopra ad un arbusto spoglio con i rami
intricati, si era appollaiato un volatile molto grande, che avvicinandoci
abbiamo scoperto essere un aquila reale o Aquila
Chrysaetos. Più in basso, ben protetto dai rami, cerca protezione un
piccolo animale.
L’aquila disturbata dal rumore dell’auto si alza in volo con una grande apertura alare e
momentaneamente si dirige verso est. La piccola lepre o Lepus europaeus, approfittando della tregua, corre a nascondersi
sotto un altro arbusto. L’aquila accortasi del movimento torna indietro. La
lepre sta per diventare il suo pasto.
Non riesco a trattenermi. Suono il clacson. L’aquila,
disturbata, apre di nuovo le ali fino a scomparire nel cielo. Della piccola
lepre che scappa, percorrendo la strada asfaltata, riesco a vedere solo le
zampette posteriori molto veloci. Poi più nulla. Spero sia riuscita a
nascondersi nel folto bosco di abete bianco della zona pedemontana.
Anche il giorno successivo, mentre eravamo a Pietrattina,
tre camosci tagliano di corsa la
prateria fino a scomparire nel bosco di abeti. Le alte rocce e i boschi sono i
luoghi in cui riescono a nascondersi dai predatori, mentre i luoghi aperti come
le pianure possono rappresentare un pericolo per la loro vita.
Rifletto che nei tanti chilometri percorsi in questo
altopiano durante gli anni, non abbiamo mai incontrato tale abbondanza di
fauna. Qualche cornacchia, qualche aquila reale, in estate diverse volte la
Vipera Ursini, ma mai camosci o lepri.
Lo sterminato altopiano non rientra nel circuito del turismo
di massa, (soprattutto nel periodo invernale) ma è meta degli appassionati di
natura e di silenzio.
Ad oggi, purtroppo non esistono politiche per la sua valorizzazione e neanche strutture ricettive adatte ad accogliere i turisti: quindi nel tempo l’affluenza di persone è diminuita.
Da un lato questa situazione tutela flora e fauna, al punto che gli animali essendo indisturbati per la maggior parte del tempo, vivono i loro spazi senza timore ed è più semplice avvistarli.
Dall’altro lato, l’assenza di politiche di valorizzazione turistica del sito non permettono a chi vive nel parco di ricavarne benessere economico.
Molti degli stazzi già presenti, potrebbero a parer mio, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, essere recuperati per realizzare punti ristoro o di osservazione, consentendo un turismo di qualità.
Potrebbe essere facilitato l’accesso a Campo Imperatore, riaprendo le strade che lo collegano ad Assergi e Farindola (quest’ultima dai tragici fatti di Rigopiano non è stata riaperta neanche durante il periodo estivo).
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