Gli ultimi... non saranno mai primi

Gli ultimi... non saranno mai i primi 2


Si diressero verso l’apertura indicata dal pescatore. Bussarono a una porta di ferro. Nessuna risposta. Era chiusa da fuori con un lucchetto. Mentre erano lì davanti, un uomo sui cinquant’anni, grosso quanto un armadio a due ante, appena li vide, scappò verso il camminamento che costeggiava il fiume.
Perla e Manzi lo rincorsero. Perla, più agile, lo bloccò, facendolo cadere a faccia in giù, proprio sulle scale di ponte Garibaldi. Riuscì a tenerlo bloccato e a far scattare le manette ai polsi.
“Fermo!” intimò.
“Non ho fatto niente.” rispose quello.
“Perché scappi, allora?”
“Siete della polizia, no? Quanno te cerca la madama, quarcosa taritrova”
“Abiti lì?”
“Sì.”
“Andiamo. Apri la porta.”
“Non ho fatto gnente.”
“Questo lo vedremo.”
Sganciarono le manette. Duccio fece scattare il lucchetto della porta, con la mano sinistra. “È mancino?” chiese Manzi
“ È reato?” rispose quello.
“ Dipende” fece Perla.
Entrarono dentro. Un’unica stanza dotata dell’essenziale. Il pavimento era ricoperto da piastrelle di vari colori. Un materasso matrimoniale era stato poggiato sopra a dei pallet. Altri pallet, per l’armadio a vista con dentro semplici abiti e il comodino. Sopra una Bibbia e I pesci non parlano di Erri De Luca. Una cucina a gas appoggiata a un mobile, di quelli che si trovano in qualche mercatino dell’usato. Una poltrona, un tavolo e una sedia completavano l’arredamento. Nessuna finestra. Sul soffitto erano attaccati grossi tubi di metallo. Una porticina piccola doveva portare al bagno. Nel complesso, anche se misero, era ordinato e pulito.
“Come ti chiami?” chiese Perla.
“Duccio Salvi”.
“Lo conosci?” chiese Perla mostrando la foto.
“No.” Rispose quello, distogliendo lo sguardo.
“Non dire cazzate! Ci hanno detto che dormiva su quei materassi là fuori e ti hanno visto litigare con lui qualche giorno fa!  Perché?” chiese Perla alzando la voce e guardandolo dritto negli occhi.
Duccio, sotto quello sguardo, si sentiva a disagio.
“Che gli è successo? Perché lo cercate?”
“E’ morto. Ammazzato.”
Duccio sbiancò. “Si lo conosco ed è vero che ci ho discusso, ma non so’ stato io a ammazzallo. Litigare con qualcuno, non significa volerlo ammazzare.”
“Dove era ieri sera tra le otto e le dieci?” incalzò Manzi.
“Stavo in giro a cazzeggià, alla stazione.”
“Qualcuno può testimoniare per lei?”
“C’era gente, ma nessun conoscente.”
Perla ne era sicura:  mentiva ma senza prove non poteva arrestarlo.
“Per ora va bene Duccio Salvi. Ma ci rivedremo.”



“Che ne pensa?” le chiese Manzi mentre bevevano un bianco fermo da Ettore.
“Bisogna controllare se il pescatore ci ha detto la verità rispetto alla sua caduta. Per Salvi controlliamo quale cellula telefonica ha agganciato il suo telefono la sera dell’omicidio e le telecamere della stazione.”

“Ispettore, sono arrivati i risultati degli esami richiesti.” La mattina dopo l’agente Saltelli,  consegnò gli incartamenti a Perla.
“Andiamo Manzi.” Perla incitò l’agente a seguirla.
Dino, questo è il nome del pescatore, aveva detto la verità. La moglie aveva dichiarato che si  era fatto male cadendo dalle scale di casa.

“Allora Salvi, lei ci ha mentito. Era qui la sera dell’omicidio. Il suo telefono ha agganciato la cellula telefonica di questa zona e nelle registrazioni delle telecamere della stazione non vi è traccia della sua presenza .” Perla accusò Duccio Salvi.
 “Quel cane diceva che sentiva freddo. Voleva dormire qui.”
“E tu l’hai ammazzato.”
“Io non ce lo volevo. È vero. So esodato, pijo ‘na miseria. Mi moje m’ha lasciato pe’ n’altro che c’ha li sordi. Dopo una vita de lavoro, questo è quello che me posso permette’. Ho fatto io i lavori qua dentro, prendendo quello che agli altri non serviva più. Magno alla Caritas, ma solo una volta al giorno, perché anche quelli c’hanno problemi. Me faccio il bagno ‘na volta la settimana e cerco di tene’ pulito più che posso. Anche se so’ povero, non significa che devo esse’ zozzo. Dentro a quei tubi ci passa acqua calda e riesco a scaldarmi anche io.  Quello era un lurido. Puzzava… Cacava e pisciava dove capitava. Diceva che ero abusivo e non avevo il diritto de sta da solo qua sotto. Come facevo a fallo veni’ qua dentro, uno che non m’era gnente!?”
Anche l’ultimo gradino della scala sociale aveva una graduatoria.
“ Bharat è stato colpito sulla parte destra della testa da qualcuno che gli stava davanti ed è mancino. Lei è mancino, insistette Perla.”
Duccio, si lasciò cadere sulla poltrona, come un burattino cui il burattinaio smette di tendere i fili:
“Non l’ho ammazzato perché voleva dormì qui, ma perché l’antra sera, ha ‘ncominciato a bussà a la porta con ‘nsistenza. Era ‘mbriaco. Quanno ho aperto, s’è’ntrufulato dentro. C’aveva un coltello su le mani.  A quel punto ho preso ‘na spranga de ferro che c’avevo dietro la porta. Lo giuro, lo volevo solo  spaventà. Ma quello gnente. Me minacciava co lu cortello su le mani. Non c’ ho visto più. Jò dato una cortellata, ‘nantra, eppoi ‘nantra, finanche non è morto. Poi l’ho trascinato fori e l’ho buttato giù lu fiume, speranno che la corrente se lo portasse via per sempre.”



Le indagini erano concluse e l’assassino era stato assicurato alla giustizia. Avrebbe avuto le attenuanti per legittima difesa.
Come ogni volta Perla non era soddisfatta. Per due motivi: il primo era che quando metteva le mani nella merda degli altri e toccava le miserie umane, quello sporco se lo sentiva addosso, con tutto il suo fetore; il secondo era dato dalla consapevolezza che Duccio non era l’unico colpevole di tutte quelle miserie, umane e morali. I veri colpevoli pagano raramente.

A casa, finalmente dopo una doccia bollente e una telefonata ai figli che festeggiavano il Capodanno con il padre, riuscì a rilassarsi. Davanti ad una porzione abbondante di ciriole alla ternana e un bicchiere di sagrantino rosso, mentre il suono dei botti le arrivava attutito, festeggiò a suo modo il nuovo anno: “Buon 2018, Perla!”




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